Per parlare dall’opera artistica di Donato Di Zio occorre valutarla in tutti i suoi molteplici aspetti: arte e teatro, l’una non esclude l’altra, aspetti per lui importanti e fondamentali, due facce della stessa medaglia. Le sue opere sono bozzetti di scenografie e dei costumi, i disegni realizzati con l’inchiostro di china e le incisioni. A ciò si aggiungono i diversi interventi progettuali sullo spazio urbano, ideati e suggeriti (in attesa di un reale riscontro nella realtà) per far rinascere e rivivere centri storici e quartieri urbani di moderna concezione, dove l’arte, così come nel passato anche nel nostro contemporaneo, può avere e dovrebbe mantenere la committenza da parte di enti pubblici e grandi mecenati per assolvere all’importante ruolo di stimolo alla riflessione e per rendere piacevole e gradevole luoghi dove la nostra vita si dipana con regolarità nel proprio percorso esistenziale.
Di Zio, anche quando affronta tematiche che prendono in esame oggetti di design legati ad un prodotto industriale (ad es. un servizio da caffè o da thè) riesce a valorizzare e rendere altamente artistico il suo lavoro nobilitando oggetti usati quotidianamente. Del resto non si può non essere attratti dalla sua origine di matrice figurativa dalla quale in alcuni momenti si discosta per consentire alle forme di assumere una maggiore libertà dando ad esse un grado di astrazione, senza discostarsi troppo da una idea tutta sua di reale.
In alcune opere, ad esempio in pelagosettantuno e pelagoottantuno, nel servizio da thé, in una tazzina e piattino, mette in evidenza la sfera affettiva, sensuale e sessuale, scevro da vincoli e pregiudizi, dove le diverse pulsioni emozionali si esprimono liberamente e dove il sacro viene mescolato al profano. E’ qui che il sesso, come generatore di vita e come libera espressione di piacere, si fa protagonista di quel linguaggio comune usato in ogni secolo e che accomuna le diverse etnie, dove la promiscuità trova spazio e libero arbitrio e dove la lussuria espressa in tutte le sue forme, elevata all’ennesima potenza, mette in luce il connubbio con la sacralità che, secondo Donato Di Zio, sta alla base di tale gesto erotico. Nell’unione di due o più corpi, infatti, vi è sempre sensibilità ed amore anche del medesimo sesso; la sacralità e la purezza di tale pulsione in questo caso non è legato solo alla sfera religiosa (qualunque sia il credo) ma è contemplato nel gesto in se che può essere di matrice profana o laica. Un elemento indiscusso e caratteristico della sua arte sono la presenza, a volta plateale e a volte molto contenuta, degli “spermini” detentori dell’origine della vita.
Donato Di Zio riesce a creare una simbiosi tra sacro e profano a tratti con risvolti naturalistici e scientifici, dove egli analizza ed evidenzia tramite i suoi segni o puntini il proprio back ground culturale e la sua sensibilità, mettendo a nudo la propria sfera intima e privata sempre celata tra gli infinitesimi spazi dei suoi segni sottili pieni di fascino e mistero. Il pelago e l’acqua, intesa come sorgente di vita, nel corso della nostra esistenza ci accompagna, ma raramente vi prestiamo la giusta attenzione. Donato ci pone in meditazione di fronte ad essa ed alla sua enorme complessità come elemento vitale ed indispensabile per ogni essere vivente. Non si può non essere attratti dal tema conduttore che accomuna tutte le sue opere: le debolezze umane, il vitalismo, le emozioni che ci guidano e danno senso al nostro essere in questo mondo.
Alcune sono ispirate alla Divina Commedia del sommo poeta Dante Alighieri, con il quale Donato Di Zio trova una affinità attorno all’intesa ed insaziabile ricerca dell’intera complessità delle psiche umana, un terreno affascinante verso il quale l’indagine e la ricerca continua anche se forse non raggiungerà mai una vera meta. Probabilmente risiede proprio in questo il fascino ed il mistero dell’opera di Donato Di Zio che interpella e coinvolge la nostra fantasia e le ragioni della nostra esistenza.