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Gillo Dorfles con il catalogo Donato Di Zio 2006
Foto Gino Di Paolo |
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Gillo Dorfles firma il catalogo Donato Di Zio 2006
Foto Gino Di Paolo |
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Donato Di Zio dentro al Pelago
Gillo Dorfles
Chissà se Donato Di Zio, dal “ Pelago “ in cui da anni è immerso arriverà finalmente alla “riva”? O, anzi,è forse gia arrivato? Almeno a quella “riva estetica” che si apre alle sue opere,ormai ben affermate,ma non dimentiche del loro agitarsi e metamorfosarsi nell’oscuro “Pelago” che le ha generate.
Giacchè ritengo di poter affermare che la lunga battaglia di Di Zio-al tempo stesso pittore, grafico, scenografo, costumist-è volta in buona parte al tentativo di raggiungere una “generazione spontanea” (naturalmente “assistita” con cura ) per ottenere che quelli che sono inizialmente soltanto segni di inchiostro nero entro uno spazio bidimensionale-si vengano sviluppando,con sempre maggior efficacia, in entità grafiche più complesse, addirittura forme geometriche, e persino vaghe figurazioni che conservino la loro identità segnica, pur sconfinando talvolta verso orizzonti narrativi (che, del resto erano gia presenti - in epoche precedenti - quando l’inchiostro nero veniva spesso utilizzato anche per dar vita a immagini più complesse e decisamente figurativeseppure di minore icasticità delle attuali.)
Quella odierna, in realtà, costituisce in definitiva quasi una narrazione criptica forse ancora memore di alcune delle più importantiscenografie cui ebbe a dedicarsi):una narrazione che consiste nelle fugaci levitazionidi forme ameboidi fino a giungere a vere e proprie strutture in se conchiuse.
La natura di queste strutture è pur sempre quella del vortice, del groviglio, della marezzatura; ma è già possibile scorgere – almeno per chi sia al corrente delle famose “macchie” di Rorschach – l’evidente presenza di nucleoli, di spirali,di embrioni pronti a trasformarsi in organismi indecifrabili eppure apparentati ad una organicità palese anche se criptica.
I nuclei di questi organismi,o i vortici che spesso li accolgono, fanno parte di quella galassia ( ma è meglio mantenersi al termine di Pelago con cui l’autore li definisce )fatta di segmenti,di linee, di riccioli, di punteggiature sventaglianti, che danno l’impressione di volersi liberare dal Pelago che le ha originate per ottenere una loro identità autonoma e forse, in futuro, per trasformarsi in vere e proprie figurazioni.
E’ grande meglio,tuttavia, che la loro crescita non trascenda il limite d’una appena accennata surrealtà; e credo che il loro fascino - anche in assenza d’ogni cromatismo e d’ogni dimensionalità – consista proprio nel rimanere affidate al cupo Pelago che le ha viste germinare, al quale – per ora almeno – devono rimanere avvinte.
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